Il caldo estremo potrebbe rendere inabitabili alcune aree del pianeta

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Il caldo estremo potrebbe rendere inabitabili alcune aree del pianeta

di Rudi Bressa
www.lescienze.it

Un rapporto congiunto di Nazioni Unite, Croce Rossa e Mezzaluna Rossa avverte sui gravi effetti delle ondate di calore che stanno colpendo diverse aree della Terra con maggior intensità e frequenza, mettendo a rischio centinaia di milioni di persone. Ma dà anche indicazioni su come intervenire a livello internazionale e umanitario Viene definito il “killer silenzioso”. Non lo si vede, né lo si sente arrivare. Ma causa decine di migliaia di decessi in tutto il mondo, ogni anno. È il caldo estremo, che sta già mettendo a rischio non solo la sicurezza alimentare globale, ma anche la salute e la tenuta di interi sistemi sanitari. Negli ultimi anni la probabilità che si verifichi un’ondata di calore è quintuplicata, mentre senza l’influenza umana sul clima, questa si verificherebbe una volta ogni cinquant’anni. E con gli attuali scenari, fino a un terzo della popolazione globale potrebbe sperimentare temperature medie che fino a ora sono state registrate solo nello 0,8 per cento della superficie terrestre, principalmente nel Sahara.

Ciò significa che in gran parte della regione equatoriale – che comprende ampie porzioni del Sud America, dell’Africa e dell’Asia – potrebbe essere in serio pericolo la salute delle persone, tanto che si stima che entro la fine del secolo le ondate di calore procureranno tassi di mortalità comparabili a quelli relativi ai decessi per cancro o malattie infettive. Numeri incredibilmente alti.

Ma a essere particolarmente esposti sono anche il bacino del Mediterraneo, Italia inclusa, gli Stati meridionali del Nord America e ampie parti dell’Oceania. Sono questi alcuni degli scenari riportati nell’ultimo rapporto redatto dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) e dalla Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (IFTC) pubblicato a poche settimane dall’inizio della COP27 che si terrà in Egitto dal 6 al 18 novembre.

Il collegamento tra cambiamenti climatici e ondate di calore
Le più recenti ondate di calore, quelle che hanno colpito per esempio l’Europa nel 2003 – una sorta di “anno zero” – e la Russia nel 2010, hanno provocato un eccesso di 70.000 e 55.000 morti, rispettivamente, a dimostrazione che a essere esposti non sono solo i paesi a basso reddito, che restano comunque i più vulnerabili. Il corpo umano infatti non è adatto a vivere a temperature troppo elevate: già sopra i 35 °C e oltre i 37 °C il sangue si addensa, il cuore pompa più forte e gli altri organi possono essere danneggiati. All’aumentare della temperatura e dell’umidità, aumentano la disidratazione e gli sforzi del corpo per raffreddare sé stesso, fino al colpo di calore che in molti casi può rivelarsi fatale.

Il mondo accademico è concorde sul fatto che non c’è evento estremo (come il calore eccessivo) che non possa essere collegato con estrema certezza ai cambiamenti climatici, tanto che lo stesso Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) conclude che le recenti ondate di calore osservate nell’ultimo decennio, sarebbero state estremamente improbabili senza l’influenza delle attività antropiche sul sistema climatico. Tanto più che questo tipo di eventi risulta essere più grave e più frequente del doppio rispetto altri eventi estremi studiati. Se attualmente il rischio è appunto quintuplicato, per un aumento delle temperature intorno ai 2 °C le ondate di calore si verificherebbero 14 volte di più, mentre a 4 °C il rischio aumenterebbe di 40 volte, ossia quattro eventi ogni cinque anni. In alcune aree del pianeta, come il Medio Oriente e l’Africa settentrionale, ci sarebbero oltre 600 milioni di persone esposte a condizioni incompatibili con la sopravvivenza.

Gli effetti a cascata
Il documento però non si sofferma solo sul legame tra crisi climatica e ondate di calore, ma sottolinea anche i numerosi impatti definiti “a cascata” sull’intera società. A rischio non ci sono solo vite umane, ma interi settori strategici. E l’agricoltura è certamente uno dei più esposti e complessi: se da una parte l’aumento delle temperature porterà benefici per le rese agricole in alcune regioni del pianeta, dall’altra metterà a serio rischio i raccolti delle colture di base, come mais e altri cereali. Per riportare un esempio locale, recentemente l’associazione Coldiretti ha stimato (su dati della Banca d’Italia) che l’aumento delle temperature, la conseguente siccità e il moltiplicarsi degli eventi estremi, in agricoltura hanno provocato danni che superano già sei miliardi di euro dall’inizio dell’anno, pari al dieci per cento della produzione nazionale. A risultare particolarmente esposte sono anche le infrastrutture, come quelle idriche e igienico-sanitarie, dei trasporti, le reti elettriche e quelle delle telecomunicazioni, esacerbando gli effetti deleteri su salute e mortalità.

Dove intervenire a livello internazionale e umanitario
Il documento si conclude sottolineando come le “ondate di calore non dovrebbero essere affrontate principalmente come una questione umanitaria”, ma principalmente adottando piani di adattamento e protezione della popolazione. Come suggerito di recentemente anche dall’Organizzazione meteorologica mondiale, servono sistemi capillari di early warning (allerta precoce) che sappiano informare le persone in anticipo sia dell’avvicinarsi dell’evento in sé, sia delle possibili azioni da mettere in pratica per ridurre il rischio.

Non solo, ma sarà necessario rivedere anche le politiche di assistenza per le fasce più deboli ed esposte della popolazione, prevedendo anche aiuti economici. In Algeria, per esempio, è stato sviluppato un programma che copre la disoccupazione delle persone che non sono in grado di lavorare a causa di condizioni meteorologiche estreme, comprese le ondate di calore, mentre in India l’Agenzia nazionale per la gestione dei disastri lavora in oltre 23 Stati e 100 città per implementare piani di azione per mitigare gli effetti delle ondate di calore sulla popolazione. Sono quelli che il documento definisce come “protezione sociale adattativa”, ovvero sistemi che possano essere modificati in base alle esigenze, al bacino di utenza e alle realtà a essa collegate. In un mondo più caldo, concludono gli autori, “non si può sfuggire alla necessità di prepararsi”.

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