La fine dell’impero ittita fu dovuta a una forte e prolungata siccità

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La fine dell’impero ittita fu dovuta a una forte e prolungata siccità

L’analisi degli anelli di crescita di alberi millenari suggerisce che il crollo di questo impero, e di altre grandi civiltà del Mediterraneo orientale e del Vicino Oriente, coincise con tre anni di siccità assoluta, eccessivi anche per una società abituata al clima semiarido del tempo
di Martina Saporiti
www.lescienze.it

Gli Ittiti furono una delle più grandi potenze del mondo antico (rivaleggiavano con gli Egizi al tempo del Nuovo Regno, per intenderci): per quasi cinque secoli, a partire dal 1650 a.C., dominarono su Vicino Oriente e Mediterraneo orientale. Ma si arresero alla siccità: non a una singola stagione sfortunata – a questo erano preparati – bensì a più anni consecutivi senz’acqua che lasciarono all’asciutto il cuore del loro regno, l’Anatolia centrale. Una condizione climatica estrema (di quelle che capitano una o al massimo due volte in un secolo, stando alle osservazioni raccolte nella regione qualche millennio dopo) che verosimilmente catalizzò la fine dell’impero ittita (ma in verità anche di altre grandi civiltà della regione) avvenuta intorno al 1200 a.C.

A sostenerlo è uno studio pubblicato su “Nature” da Sturt W. Manning, professore di archeologia classica alla Cornell University statunitense, e colleghi. I ricercatori hanno dalla loro una prova inequivocabile: il legno e gli anelli di accrescimento di tronchi di ginepro (Juniperus excelsa e Juniperus foetidissima), alberi millenari testimoni degli ultimi giorni dell’impero. Ogni anello è un “compleanno”: quanto più due anelli consecutivi sono vicini, tanto meno l’albero è cresciuto in quell’anno. E analizzando i tronchi portati alla luce nel sito archeologico di Gordio in Turchia (230 chilometri a ovest dall’antica capitale ittita Hattusa), si è capito subito che qualcosa era andato storto tra il 1198 e il 1196 a.C., proprio in concomitanza con la caduta dell’impero. In quei tre anni la crescita degli alberi si era infatti arrestata e, in assenza di indizi che potessero far pensare a incendi o malattie, i ricercatori hanno ipotizzato che il problema fosse la mancanza d’acqua.

Un campione di legno recuperato dal sito di Gordio, nell’Anatolia centrale (© Brita Lorentzen)

“La conferma a questa nostra ipotesi è arrivata da un’altra analisi condotta sui tronchi, ovvero la misurazione del rapporto tra due isotopi del carbonio, carbonio-12 e carbonio-13, che riflette l’umidità atmosferica e quindi la disponibilità di acqua”, ci ha spiegato Manning. “In condizioni di aridità, infatti, le foglie chiudono gli stomi per conservare acqua e questo influenza il rapporto tra i due isotopi nella cellulosa prodotta in quel momento. Ebbene, i cambiamenti annuali che abbiamo osservato nei valori di carbonio-13 indicano una condizione di aridità a partire dalla fine del XIII secolo a.C. e per tutto il secolo successivo, particolarmente grave nei tre anni a cui corrisponde il brusco arresto della crescita degli alberi rivelato dagli anelli.”

La siccità fu dunque verosimilmente la miccia che incendiò l’impero ittita. Una siccità particolarmente grave e prolungata, contro cui nulla poterono gli sforzi di una popolazione resiliente per natura, abituata alla durezza di una regione semiarida come l’Anatolia centrale. “Sappiamo che gli Ittiti avevano granai in cui immagazzinavano scorte di cereali sufficienti per uno o due anni, quindi per far fronte a un anno di raccolto andato male – continua Manning – ma tre anni consecutivi di crisi sono stati forse impossibili da superare: niente cibo, niente semi per le nuove coltivazioni, niente mangime per gli allevamenti. In una sola parola: carestia. Anche le dighe e i serbatoi costruiti per avere disponibilità di acqua nei periodi più aridi probabilmente non sono bastati a contrastare la crisi idrica.”

Panorama dell’area di Hattusha-Bogazkoy (© Benjamin Anderson)

Alcuni documenti dell’epoca fanno riferimento a un problema di carenza di grano, e pare che nessuno sia giunto in soccorso. Sarebbe stato complicato, comunque. “Gli aiuti che potevano arrivare dal mare avrebbero raggiunto solo le città costiere o connesse al mare attraverso i fiumi – sottolinea il ricercatore – ma la rete stradale, per quanto ne sappiamo, non era così sviluppata e capillare da poter sostenere il trasporto di rifornimenti a tutte le città delle aree centrali dell’impero. Soprattutto considerando che alcune erano piuttosto popolose: per esempio Hattusa contava circa 50.000 abitanti.”

Riguardo alla capitale ittita, lo studio risolverebbe il mistero del suo improvviso abbandono. Essendo stata saccheggiata di tutti i tesori reali, gli studiosi hanno a lungo pensato fosse stata attaccata da briganti o dai “popoli del mare” (una confederazione di predoni di identità incerta); ma non trovando indizi di guerriglia o di incursioni, si è poi iniziato a ipotizzare una fuga programmata da parte della famiglia reale. Il motivo? Ora lo sappiamo: fu la carestia. E se adesso, grazie allo studio, sembra davvero plausibile che la causa scatenante la caduta dell’impero ittita fu una crisi climatica senza precedenti, resta da capire ciò che avvenne dopo.

Una serie di inarrestabili e sfortunati eventi, immagina Manning. “Dal XIII secolo a.C. il clima diventa più arido e i tempi si fanno più duri, stressando l’impero e le sue strutture amministrative come mai prima. Quindi arrivano tre anni di grave siccità che affamano uomini e animali; fanno venir meno gli introiti derivanti dalle tasse sul grano; rendono impossibile rifornire l’esercito [e quindi sostenere le guerre, N.d.R.]; scoraggiano i fedeli o forse fanno pensare al popolo che il loro re ha perso il favore degli dei; dunque, perché servirlo?”.  Poi ci fu l’abbandono di Hattusa (che venne in seguito incendiata da invasori) e piano piano si perse qualunque traccia scritta di tutto l’apparato amministrativo, reale e dell’élite dell’impero. “Non furono capaci, o non furono ritenuti capaci, di gestire la crisi. Ma il collasso dell’impero non fu la fine degli Ittiti: per almeno cinque secoli dopo il 1200 a.C. sopravvissero in mini-stati, entità politiche più piccole e limitate.”

Se c’è una lezione da imparare da tutta questa storia, ce la ricordano gli autori nelle conclusioni dell’articolo: le società umane sono in grado di adattarsi a cambiamenti occasionali, ma quando questi ultimi si ripetono in modo improvviso ed estremo possono compromettere la loro resilienza. “Questo vale per il passato quanto per il presente alla luce dell’attuale crisi climatica. La siccità che probabilmente colpì l’Anatolia tra 1198 e 1196 a.C. è per questo una storia esemplare.”

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