Inquinamento senza fine: la mappa interattiva della contaminazione europea con PFAS

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Inquinamento senza fine: la mappa interattiva della contaminazione europea con PFAS

Queste sostanze tossiche, presenti in innumerevoli prodotti d’uso quotidiano, persistono nell’ambiente per lunghissimo tempo. Un’ampia indagine internazionale ha individuato oltre 2000 siti europei in cui la loro concentrazione è considerata pericolosa per la salute
di Gianluca Liva
www.lescienze.it

Dopo una raccolta di dati su scala senza precedenti, questa mappa è la prima a illustrare la diffusa contaminazione europea da sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS), composti tossici e persistenti che si trovano in una quantità innumerevole di prodotti d’uso quotidiano: abiti, saponi, strumenti sanitari, confezioni di cibo, bicchieri in carta riciclabile, padelle antiaderenti, vernici, finestre, biciclette e molti altri ancora. I PFAS sono ovunque e si sono diffusi anche là dove non avremmo voluto, nell’acqua, nel cibo, nel sangue, nell’ambiente. I PFAS possono essere considerati come un velo che si è adagiato per sempre sul nostro pianeta.


La mappa dell’inquinamento eterno è stata creata da “Le Monde” e dai 17 partner dell’inchiesta giornalistica transfrontaliera Forever Pollution Project. “Le Scienze” ha lavorato in sinergia con i colleghi europei per fornire una pubblicazione unica. Il risultato è la prima mappa che mostra l’entità della contaminazione dell’Europa da sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS). Queste “sostanze chimiche eterne” accompagneranno l’umanità per centinaia di anni, forse migliaia.

I risultati della mappa
La nostra mappa mostra gli impianti di produzione di PFAS, alcuni siti in cui vengono utilizzate queste sostanze, nonché i siti in cui è stata rilevata una contaminazione e i luoghi che potrebbero essere contaminati.

Alla fine di un’indagine durata più di un anno, è stato possibile individuare 20 impianti di produzione, che lavorano per sintetizzare i PFAS che poi vengono usati in una moltitudine di settori.

In oltre 17.000 siti è stata rilevata la contaminazione da PFAS. Ognuno di questi siti è stato sottoposto ad attività di campionamento da parte di gruppi scientifici e agenzie ambientali con il fine di individuare la presenza di PFAS nell’acqua, nel suolo o negli organismi viventi tra il 2003 e il 2023. Queste misure hanno rilevato PFAS a livelli pari o superiori a dieci nanogrammi per litro (ng/L). L’indagine ha evidenziato l’attività di 232 utilizzatori di PFAS. Queste realtà industriali usano i PFAS per produrre plastiche “ad alte prestazioni”, pitture e vernici, pesticidi, tessuti impermeabili e altri prodotti chimici. In oltre 21.000 siti si intravedono tutti gli elementi che portano a indicare questi luoghi come “presuntivamente contaminati”. Si tratta di aree con presenza di attività industriali in corso o dismesse di cui sono documentati l’utilizzo e l’emissione di PFAS. Le basi militari, per esempio, sono i principali utilizzatori di schiume antincendio “AFFF”, contenenti PFAS. Allo stesso tempo, la produzione di alcuni fluoropolimeri richiede l’uso di PFAS. Si tratta, è bene ribadirlo, di luoghi di contaminazione presuntiva. Sebbene la contaminazione di questi siti sia probabile, non è stato condotto alcun campionamento ambientale per confermarlo.

L’inchiesta ha permesso di individuare 2100 hot-spot d’inquinamento. È una definizione usata quando la concentrazione di PFAS raggiunge un livello che gli esperti considerano pericoloso per la salute, pari a 100 ng/L. Il problema è che decine, a volte centinaia di campioni vengono prelevati dalle autorità intorno a un luogo identificato come “epicentro” della contaminazione: è il caso dello stabilimento 3M di Zwijndrecht (Belgio) e di quello Chemours di Dordrecht (Paesi Bassi). Per ridurre il più possibile il numero di questi possibili “falsi positivi”, abbiamo raggruppato i punti geograficamente vicini in specifici “cluster“. Questo metodo ci ha portato a stimare il numero di hot-spotin più di 2100 in tutta Europa.

Per costruire la nostra mappa, abbiamo raccolto e organizzato dati provenienti da diverse fonti, alcune delle quali non erano pubbliche. Questi dati ci hanno permesso di localizzare le contaminazioni accertate. Per identificare i siti di contaminazione presunta, invece, abbiamo adattato la metodologia di un gruppo di ricercatori che ha svolto un lavoro simile per mappare la contaminazione negli Stati Uniti: il PFAS Project Lab (Boston) e la loro PFAS Sites and Community Resources Map. Come nostre guide e consulenti, sette esperti ci hanno accompagnato in questo esperimento senza precedenti di giornalismo peer-reviewed per realizzare questa indagine del tutto inedita.

È importante sottolineare che gli autori hanno sistematicamente adottato l’approccio più conservativo possibile. Inoltre, vi è una mancanza di dati e di campionamenti completi in ciascuno dei paesi europei. Pertanto, per quanto impressionante, il numero di siti contaminati e di presunta contaminazione indicato nella nostra mappa è notevolmente sottostimato.

Questa mappa, sviluppata da Stéphane Horel e da “Le Monde”, non sarebbe stata possibile senza il contributo dei nostri colleghi Sarah Pilz (Germania), Catharina Felke (NDR, Germania), Nadja Tausche (“Süddeutsche Zeitung”, Germania), Leana Hosea e Rachel Salvidge (Watershed Investigations, Regno Unito). Gianluca Liva, parte del gruppo di sviluppo della mappa, si è occupato a sua volta della raccolta e dell’armonizzazione dei dati.

La metodologia completa è disponibile a questo link.

Il Forever Pollution Project è stato inizialmente sviluppato da “Le Monde” (Francia), NDR, WDR e “Süddeutsche Zeitung” (Germania), “RADAR Magazine” e “Le Scienze” (Italia), “The Investigative Desk” e NRC (Paesi Bassi) con il sostegno finanziario di Journalismfund.eu e Investigative Journalism for Europe (IJ4EU); ulteriormente approfondito e pubblicato da “Knack” (Belgio), “Denik Referendum” (Cechia), “Politiken” (Danimarca), YLE (Finlandia), “Reporters United” (Grecia), SRF (Svizzera), Datadista / el Diario.es (Spagna), Watershed Investigations / “The Guardian” (Regno Unito); e sostenuto da Arena for Journalism in Europe per una collaborazione transfrontaliera.

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