Sono i minuscoli brillamenti ad alimentare il vento solare

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Sono i minuscoli brillamenti ad alimentare il vento solare

Una nuova analisi sostiene che siano piccole ma diffuse eruzioni nella corona del Sole a dare origine al flusso di particelle cariche che attraversa tutto il sistema solare
di Theo Nicitopoulos/Quanta Magazine
www.lescienze.it

Flussi imponenti di particelle cariche si sollevano continuamente dall’atmosfera solare e si irradiano verso l’esterno a milioni di chilometri all’ora, generando un vento solare così immenso che il suo limite definisce il confine esterno del nostro sistema solare.

Nonostante la vasta portata di questo vento, la sua formazione è stata a lungo un enigma. Ora una nuova analisi sostiene che il vento solare sia alimentato da un insieme collettivo di eruzioni intermittenti e su piccola scala, simili ai getti nella corona del Sole, il suo strato esterno. “Un po’ come in un auditorium, i singoli applausi si trasformano in un ruggito costante”, ha spiegato Craig DeForest, fisico solare al Southwest Research Institute di Boulder, in Colorado, e coautore dello studio.

Sebbene gli scienziati sapessero già che la corona ospitava piccoli getti che in genere durano alcuni minuti, in precedenza ne avevano scoperto solo un numero ridotto, principalmente alla base dei pennacchi che emergono da regioni più fredde e meno dense della corona, note come buchi coronali.

Il nuovo studio rivela che quei piccoli gettisono onnipresenti. “Una volta che si sa come trovarli, si vede che sono ovunque, praticamente in ogni struttura della corona, per tutto il tempo”, ha detto il coautore Dan Seaton, un fisico solare che lavora anch’egli al Southwest Research Institute.

Gli astrofotografi Andrew McCarthy e Jason Guenzel hanno creato questa immagine a partire da oltre 90.000 singole fotografie scattate attraverso un telescopio solare modificato su misura (Cortesia Andrew McCarthy e Jason Guenzel)

Il gruppo ha scoperto che i piccoli getti, ciascuno largo tra i 1000 e i 3000 chilometri, sono presenti anche durante il minimo solare, la fase meno attiva del ciclo solare di 11 anni, un risultato coerente con la natura pervasiva del vento solare. “Si può scegliere un giorno a caso e i piccoli getti sono lì, proprio come il vento solare”, ha detto Nour Raouafi, fisico solare al Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory e autore principale dello studio.

Nell’articolo che illustra le nuove scoperte, pubblicato  di recente su “Astrophysical Journal”, il gruppo fornisce la prova che i piccoli getti sono innescati da un processo chiamato riconnessione magnetica, che riscalda e accelera un plasma di particelle cariche. I ricercatori ipotizzano che i getti producano onde che riscaldano la corona e permettono al plasma di sfuggire alla gravità del Sole e di riunirsi per formare il vento solare.

“I numeri sono promettenti e dimostrano che è davvero possibile che siano i piccoli getti a fornire al vento solare la massa persa dal Sole”, ha dichiarato Charles Kankelborg, fisico solare alla Montana State University, non coinvolto nello studio.

Il motore
L’idea che eventi intermittenti su piccola scala possano guidare collettivamente il vento solare deriva dal lavoro di Eugene Parker, un pioniere della fisica solare scomparso lo scorso anno. Nel 1988, egli suggerì che uno “sciame di nanobrillamenti (nanoflares)” guidato da minuscole esplosioni di riconnessione magnetica potesse riscaldare la corona abbastanza da alimentare il vento.

Tuttavia, la ricerca di prove di questa riconnessione su piccola scala si è rivelata elusiva a causa della bassa risoluzione delle misurazioni magnetiche.

Per il nuovo studio, i ricercatori hanno esaminato immagini ad alta risoluzione provenienti da diverse fonti, tra cui il Solar Dynamics Observatory della NASA, i satelliti GOES-R – meglio conosciuti come satelliti meteorologici – e il Goode Solar Telescope del Big Bear Solar Observatory. Hanno scoperto che le regioni coronali che prima sembravano prive di flusso magnetico erano in realtà piene di campi magnetici complessi. Il gruppo è stato anche in grado di collegare diversi piccoli getti a specifici eventi di riconnessione. I ricercatori prevedono che dati di campo magnetico su scala ancora più fine potrebbero rivelare tassi di riconnessione e di getto più elevati.

Il motore delle eruzioni sull’atmosfera del Sole

Il gruppo ha poi suggerito che i piccoli getti creino un tipo specifico di onde, chiamate onde di Alfvén, che riscaldano la corona. Le onde di Alfvén sono state considerate un meccanismo concorrente per spiegare il vento solare. Ma è sempre più diffusa l’idea che questi processi possano lavorare insieme. “La presenza globale di questi piccoli getti guidati dalla riconnessione fornisce una spiegazione naturale sia della riconnessione sia delle onde di Alfvén che alimentano il vento solare”, ha dichiarato Judith Karpen, fisico solare al Goddard Space Flight Center della NASA.

I ricercatori prevedono che i prossimi sforzi riveleranno i processi coronali con un dettaglio senza precedenti. La speranza è riposta nei telescopi più recenti, come il Daniel K. Inouye Solar Telescope del National Solar Observatory e il Solar Orbiter, un progetto congiunto della NASA e dell’Agenzia spaziale europea lanciato nel 2020.

“Potrebbe risultare che lo spettro dei getti va da eventi relativamente grandi fino ai nanobrillamentidi Parker sulle scale più piccole”, ha detto Raouafi.

I piccoli getti potrebbero essere coinvolti negli eventi su larga scala del Sole, come i brillamenti e le espulsioni di massa coronale, ha dichiarato Jie Zhang, fisico solare alla George Mason University. “Le eruzioni su piccola scala potrebbero avere un ruolo nella trasformazione delle configurazioni magnetiche in strutture più coerenti su larga scala, in grado di immagazzinare grandi quantità di energia prima dell’eruzione”, ha detto.

Per ora, le nuove scoperte sui piccoli getti hanno convalidato l’eredità di Parker e dei suoi contemporanei. “Ecco alcune osservazioni che, trent’anni dopo, ci dicono che probabilmente avevano ragione”, ha detto Kankelborg.

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