Il terremoto di L’Aquila di Mw 6.3 del 9 settembre 1349: il racconto, 676 anni dopo

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Il terremoto di L’Aquila di Mw 6.3 del 9 settembre 1349: il racconto, 676 anni dopo

Il terremoto del 1349 fu il primo grave terremoto che colpรฌ L’Aquila, a meno di un secolo dalla sua fondazione ‘sveva’ (1254).
di Mauro Rosati
news-town.it

Giร  nel 1315 un altro terremoto importante aveva provocato alcuni danni alla cittร  ma, da quanto risulta dalle cronache, pare non avesse provocato vittime e i danni, salvo qualche eccezione, sembra non fossero stati particolarmente gravi; nel nuovo Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani, aggiornato nel 2011 (CPTI11), la potenza alla sorgente del sisma del 1315 รจ stimata in Mw 6.3

Il sisma del 1349, invece, avrebbe avuto epicentro ipotetico lungo la catena del Velino-Sirente: nel Catalogo del 2004 (CPTI04) la potenza del terremoto alla sorgente era stimata intorno a Mw 6.5 con epicentro localizzato sul versante nord del Monte Velino, circa 6 km a sud di Campo Felice; nel Catalogo aggiornato del 2011 (CPTI11), invece, la potenza del terremoto alla sorgente รจ stimata intorno a Mw 6.27 con epicentro ipotetico nei pressi di Fiamignano (RI) nel Cicolano, circa 25 km a sud-ovest di Lโ€™Aquila, quindi sempre sulla catena del Velino-Sirente ma piรน a nord-ovest di quello ipotizzato in precedenza.

รˆ molto grave il quadro dei danni che emerge dalle cronache storiche cittadine, in particolare da quella di Buccio di Ranallo, il cui autore fu testimone diretto dell’evento sismico. รˆ opportuno quindi che, come un inviato in diretta, sia proprio Buccio di Ranallo a guidarci attraverso la giovane cittร  nelle ore e nelle settimane successive al terremoto del 1349 anche se, allโ€™occorrenza, potranno venirci in aiuto altre fonti. La numerazione delle quartine della Cronaca Aquilana di Buccio, nelle citazioni che seguono, fa riferimento allโ€™edizione del 1907 a cura di Vincenzo de Bartholomaeis.

Le varie cronache che narrano dell’accaduto non sono concordi sul giorno esatto in cui si verificรฒ la scossa principale: secondo alcune l’8 settembre secondo altre il 9 o il 10 dello stesso mese. Cosรฌ riferisce ad esempio lo storico fiorentino Matteo Villani nella Nuova Cronica: ยซIn questo anno [1349], a dรฌ 10 del mese di settembre, si cominciarono in Italia tremuoti disusati e maravigliosi [nell’accezione di ‘scioccanti’, ‘incredibili’; ndr] […] La cittร  dell’Aquila ne fu quasi distrutta, che tutte le chiese e grandi dificj della cittร  caddono con grande mortalitร  d’huomini e di femmine; […] ed erano sรฌ grandi [le scosse; ndr]che in piana terra era fatica all’uomo di potersi tenere in piediยป.

E uno dei piรน importanti terremoti dell Appennino centro-meridionale, costituito forse da 2 o 3 eventi contemporanei. I danni piรน gravi e le vittime si ebbero in due aree distinte: al confine tra Aquilano e Valle del Salto e nella zona tra Isernia e Cassino. 7.

Buccio di Ranallo riporta esclusivamente l’anno:ย ยซCorrea li anni Domini mille et trecento / et plu quaranta nove, credate ca non mento
Quando fo lo terremuto et quisto desertamentoยปย (Cronaca Aquilana; quartina DCCCXXXVI).

Il Catalogo Parametrico dei Terremoti Italiani (CPTI11) dร  per attendibile la data del 9 settembre senza cenni allโ€™ipotetico orario. Tra le varie ipotesi non si puรฒ escludere che la scossa tellurica principale si sia verificata di sera o di notte tra il 9 e il 10 settembre, il che potrebbe spiegare almeno la discordanza tra quelle cronache che โ€˜optanoโ€™ per il 9 o per il 10 dello stesso mese. Sempre dal racconto di Buccio risulta che il sisma provocรฒ circa 800 vittime e il crollo della maggior parte delle chiese: ยซSubitamente venne sรฌ gran terremuto, / Dalla morte de Christo non fo mayure veduto;
Appena homo trovรฒsenci che non gesse storduto. / De persone ottocento d’Aquila fo stimateย che per lo terremuto foro morte et sotterrate.ยป (Cronaca Aquilana; quartine DCCCXXIX-DCCCXXX).

A questi versi segue (Cronaca Aquilana; quartine DCCCXXX-DCCCXXXI) una drammatica descrizione della disperazione degli abitanti durante le operazioni di sgombero delle macerie alla ricerca delle vittime, un racconto che a distanza di oltre sei secoli e mezzo ancora oggi richiama molto da vicino le cronache dei maggiori terremoti, dall’Asia piรน orientale all’America passando per l’Europa.

Al terremoto del 1349, che danneggiรฒ gravemente anche le mura civiche, risale la prima chiusura di Porta Leoni come ricorda, oltre un secolo dopo, lo storico aquilano frate Alessandro de Ritiis da Collebrincioni (Chronica civitatis Aquilae, c. 194 B). Tra le chiese danneggiate, infatti, risultava San Francesco a Palazzo che sorgeva in corrispondenza degli odierni Portici di Corso Umberto I e Piazza Palazzo, accanto allโ€™omonimo convento ancor oggi esistente ma in gran parte trasformato e noto come complesso della Biblioteca Provinciale e del Convitto Nazionale. Le macerie della chiesa, e forse anche quelle di altri edifici, furono trasportate nella vicina area di Porta Leoni, all’epoca periferica rispetto al centro abitato e nella quale non esistevano ancora nรฉ l’Ospedale Maggiore (oggi noto come l’edificio della scuola ‘Edmondo De Amicis’) nรฉ la basilica-mausoleo di San Bernardino da Siena con l’annesso convento.

Porta Leoni fu riaperta nella seconda metร  del Quattrocento per facilitare il raggiungimento della vicina Madonna del Soccorso il cui culto si andava diffondendo in quel periodo (Bernardino Cirillo, Annali della cittร  dell’Aquila); la porta fu nuovamente chiusa nel Cinquecento a seguito della costruzione della vicina Porta Castello, durante l’occupazione spagnola. La porta รจ stata aperta di nuovo nel XX secolo; secondo testimonianze dirette essa risultava giร  riaperta nel 1948. A tutt’oggi si puรฒ osservare come il piano stradale della zona di San Bernardino si trovi alcuni metri piรน in alto rispetto al varco di Porta Leoni.

Al verificarsi del terremoto del 1349 la cittร  era giร  fiaccata dagli effetti della ‘Grande peste’ del 1348 e rischiava l’abbandono definitivo da parte dei suoi abitanti fortemente impressionati dal succedersi quasi ininterrotto delle due calamitร . Come noto a molti dalla narrazione di Buccio di Ranallo e da altre fonti, la salvezza della cittร  fu determinata dalla reazione decisa di Lalle I Camponeschi, conte di Montorio, e di fatto capostipite di una signoria (o criptosignoria) cittadina che per alcune generazioni avrebbe rappresentato l’ago della bilancia della politica cittadina, parallelamente al potere centrale del Regno di Napoli rappresentato in cittร  dal Capitano di Giustizia. Lalle Camponeschi, mosso probabilmente anche dalla prospettiva che l’abbandono della cittร  e la dispersione degli abitanti avrebbero significato la fine del suo potere, indusse la popolazione a restare dentro le mura e avviรฒ la realizzazione di opere provvisionali, in primis quelle difensive con la tamponatura delle brecce nelle mura mediante la realizzazione di palizzate (ยซsticcatiยป).

Cosรฌ racconta Buccio di Ranallo:
ยซPerรฒ che era l’Aquila cosรฌ male adrivata, / De ecclesie et edifitia cotanto desertata,
Et anchi delle mura non era circundata, / Multi homini credevano non foxe habitata.
Et anchi comensaro parichi ad scommorare, / Chรฉ nne voleano gire de fore ad abitare;
Credรฉanose che Aquila non se degia refare. / Lo conte sappe questo, abese ad conselliare.
Vedendo poi lo conte la terra desolata / Per granni terramuti cosรฌ male adobata;
Le mura erano ad terra, non era reparata; / Pensรฒ subitamente de fare la sticconata.
Como illo comandรฒ, foro facti li sticcati / De bono legname grosso, multo ben chiovati;
Sticcavano la terra per multi vicinati, / Et forone grandi utili, ca stevamo inserrati.ยป
(Cronaca Aquilana, quartine DCCCXXXVII-DCCCXL).

Lo storico aquilano Anton Ludovico Antinori (XVIII secolo) nei suoi Annali riferisce che Lalle I Camponeschi, il quale abitava nel โ€˜localeโ€™ di San Vittorino (corrispondente pressappoco alla zona delimitata dalle odierne piazza Duomo, via Rojo, via del Cembalo, via dellโ€™Annunziata, via delle Aquile, piazza Palazzo, via Pietro Marrelli), alloggiรฒ in una baracca costruita nell’orto del vicino convento di San Domenico dalla quale continuava a provvedere al disbrigo degli affari pubblici. Anche la popolazione alloggiava in baraccamenti realizzati nelle aree aperte della cittร  andando incontro al freddo dell’autunno, come riferisce sempre Buccio di Ranallo: ยซNon jaceamo in casa, ma le logie fecemmo; / Piรน che nove semane pur de fore jacquembo;
Piรน frido assai che calla in quillo tempo abembo;ยป (Cronaca Aquilana; quartina DCCCXXXVI).

Ancora una volta dal passato ci giunge l’esempio di una decisione che, in un momento di difficoltร , garantรฌ un seguito alla storia della cittร : in questo caso si trattรฒ della risoluzione di un’autoritร  pubblica; nel terremoto del 1461, invece, l’intento cittadini-autoritร  fu unanime; nel 1703, in mancanza di una solida autoritร  pubblica, furono gli stessi abitanti a garantire la ripresa della cittร . La conoscenza del passato, come ci insegnano giร  gli antichi (โ€œLa storia รจ maestra di vitaโ€), non รจ un esercizio fine a se stesso ma ci fornisce invece esempi, nel bene e nel male, e ci riveste anche di responsabilitร . Nello specifico le risposte che le autoritร  e gli abitanti seppero dare ai terremoti aquilani del passato sono per noi un invito a rimanere vicini e presenti fisicamente nei luoghi storici della nostra cittร . Contemporaneamente sono un richiamo a una responsabilitร : se รจ stato possibile risollevare la cittร  nei secoli passati con risorse e tecnologie molto piรน limitate, a maggior ragione abbiamo il dovere di farlo oggi e di farlo nel rispetto e nella tutela della sua integritร  storica.

Mauro Rosati
Vicepresidente Archeoclub Lโ€™Aquila

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