14 Aprile 2010: l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull che spaventò l’Europa

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14 Aprile 2010: l’eruzione del vulcano islandese Eyjafjallajökull che spaventò l’Europa

13 anni fa, la nube di fumo e cenere causata dal vulcano islandese, paralizzava i voli aerei in Europa
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Se vi foste trovati a viaggiare in Europa alla fine di aprile 2010, probabilmente ve ne ricordereste con un po’ di disappunto: per oltre una settimana, il traffico aereo fu completamente paralizzato. Seguirono altri sei mesi di ritardi, cancellazioni e disagi vari, finché a fine ottobre la situazione non tornò più o meno normale. A provocare questo bailamme fu l’eruzione del vulcano Eyjafjöll in Islanda, che, dopo un periodo di attività debole e intermittente, decise di risvegliarsi il 14 aprile 2010: il giorno dopo, gli aeroporti di mezzo mondo erano andati in tilt.

Lo Eyjafjöll è un vulcano alto 1666 metri, attivo dall’ era glaciale, completamente coperto dal ghiacciaio Eyjafjallajökull (come spesso è stato chiamato il vulcano), uno dei più grandi dell’Islanda, nella parte meridionale dell’isola. Il suo nome è traducibile come ghiacciaio dei monti delle isole, perché la montagna domina l’arcipelago delle Vestmann, visibile dalla sua sommità.

La nube emessa dal Vulcano, ripresa dai satelliti della NASA

A fine dicembre 2009, questo gigante iniziò a dare i primi segni di irrequietezza, che si manifestarono con una serie di scosse sismiche abbastanza deboli (magnitudo 1-2 della scala Richter). I geofisici monitorarono un innalzamento di circa tre centimetri della crosta terrestre, segno inequivocabile che era in corso larisalita di magma.

Erano i prodromi della catastrofe. Che non tardò a verificarsi: il 14 aprile il vulcano eruttò violentemente, dando luogo a una spettacolare cascata di ghiaccio e lava.

Fu proprio questo a generare la nube: la lava sciolse il ghiaccio e creò una densissima coltre di vapore, fumo e cenere che si innalzò e venne trasportata a grande distanza. Il fenomeno durò ben 5 giorni, creando da subito enormi disagi: il fiume Markarflijòt straripò, inondando strade e paesi, e furono evacuate 800 persone.

Il giorno dopo iniziarono i problemi per il traffico aereo, a causa della nube che si spostava rapidamente rendendo praticamente impossibile il volo in condizioni di sicurezza. Dal 15 al 23 aprile, lo spazio aereo di buona parte dell’Europa fu completamente bloccato. Fu la paralisi completa: secondo una stima della Iata (International Air Transport Association) le compagnie aeree persero circa 200 milioni di euro al giorno. Parecchi eventi politici, sportivi e artistici furono annullati o spostati: ci vollero sei mesi perché gli aeroporti europei tornassero, molto gradualmente, a essere completamente operativi.

Negli anni successivi, la scienza ha cercato di rendere meno catastrofici questi eventi, elaborando varistrumenti per monitorare posizione, velocità e composizione delle nubi nei cieli. Lo Spanish Research Centre for Energy, Environment and Technology, per esempio, ha elaborato il sistema Lidar Light Detection and Ranging), una tecnologia che sfrutta un raggio laser proiettato verso il cielo, in grado diinteragire con le particelle in sospensione: lo spettro riflesso fornisce informazioni sulle loro proprietà fisiche e chimiche.

Anche la Nasa si è data da fare, mettendo a punto la Aerosol Robotic Network, una rete che si serve di fotometri solari automatici, strumenti che sono in grado di valutare lo spessoredella coltre e la distribuzione del particolato. Tutti i dati sono poi inviati a un computer centrale, il Barcelona Supercomputing Center, che li incrocia e calcola la traiettoria probabile della nube usando vari modelli di dispersione.

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