Lo straordinario specchio celeste di Mozia

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Lo straordinario specchio celeste di Mozia

Quello che gli esperti hanno pensato a lungo fosse una struttura portuale della piccola isola al largo della costa occidentale della Sicilia, con tutta probabilità era invece il bacino di un santuario, come ha scoperto un gruppo italiano di archeologi. Le acque calme del bacino venivano usate dai fenici per osservare le stelle riflesse, come in un grande osservatorio astronomico utile, per esempio, alla navigazione
di François Savatier/Pour la Science e Karin Schlott/Spektrum der Wissenschaft
www.lescienze.it

Nell’VIII secolo a.C. i fenici fondarono Mozia, una città commerciale molto attiva, su una piccola isola al largo della costa occidentale della Sicilia. E dove i navigatori provenienti dall’ovest del Mediterraneo si sono insediati, hanno creato dei porti. L’isola nella laguna di Marsala, che oggi è chiamata San Pantaleo, aveva un grande bacino portuale a sud-ovest. Si suppone. Perché un gruppo di archeologi guidato da Lorenzo Nigro della La Sapienza Università di Roma ha ora scoperto, dopo vent’anni di scavi, quale funzione avesse originariamente lo specchio d’acqua e che cosa ci fosse nelle vicinanze dello specchio d’acqua artificiale.

Secondo Nigro, il complesso rettangolare, che era circondato da templi e cinto da un muro circolare, serviva da specchio naturale: “La superficie riflettente del bacino poteva essere utilizzata per le osservazioni astronomiche”, scrive Nigro sulla rivista di archeologia “Antiquity”. “Forse nel bacino venivano conficcate delle aste per segnare la posizione delle stelle riflesse nell’acqua, rendendo possibile l’osservazione e l’identificazione dei corpi celesti.” Gli studiosi o i marinai potrebbero aver usato il bacino per la navigazione, leggendo le costellazioni stellari nel cielo notturno.

Dopo il 1200 a.C., quando nel Levante i fenici non furono più sotto il dominio ittita ed egiziano, si diffusero verso ovest e stabilirono una rete commerciale in tutto l’Egeo. Non solo in Grecia, ma anche nell’area del Mediterraneo occidentale, crearono infrastrutture in altre località. Alcune delle loro postazioni commerciali si trasformarono in città, che Cartagine finì per assorbire nella sua sfera d’influenza.

Il santuario di Mozia: al centro si trova il bacino circondato da edifici. L’area sacra era un tempo racchiusa da un muro circolare alto tre metri. Nella zona sottostante il bacino, un canale asciutto scorre verso il mare (© Stefano Pannucci/Stefano Pannucci /Isole dello Stagnone di Marsala/CC BY-SA (particolare))

Questo è ciò che accadde anche alla città fenicia di Mozia. Nel VII secolo a.C. era diventata un’importante città portuale, che commerciava principalmente con le regioni occidentali e con il centro del Mediterraneo. Quasi inevitabilmente, questo portò Mozia a entrare in conflitto con la principale potenza al di là del canale di Sicilia. Risultato: i punici devastarono la città intorno alla metà del VI secolo a.C. Mozia si riprese, come testimonia la costruzione di un’imponente cinta muraria, e fu probabilmente piuttosto importante dal punto di vista economico per un certo periodo, dato che l’autocrate Dionisio I di Siracusa (431-367 a.C.) la fece distruggere definitivamente nel 397 a.C.

Gli abitanti superstiti fondarono allora un nuovo insediamento sulla costa occidentale della Sicilia, non lontano da Mozia: Lilibeo. Il luogo fu poi chiamato Marsala, probabilmente dal nome del suo porto, chiamato in arabo Marsa Allah o Marsa Ali. Gli arabi avevano conquistato la Sicilia pezzo per pezzo nel IX secolo, iniziando la loro conquista proprio dall’antica Lilibeo.

Il vino e Whitaker resero famosa Marsala
A quell’epoca si continuò probabilmente a produrre quello che si produceva già ai tempi dell’antica Mozia e che si vendeva in tutto il Mediterraneo: il vino siciliano. I vini dolci di Marsala erano particolarmente noti. All’inizio del XIX secolo quel lucroso commercio portò nella città la famiglia britannica Whitaker, che commercializzò il vino in Inghilterra, arricchendosi.

Un rampollo di quella famiglia fece poi in modo che l’eredità fenicia di Mozia non venisse dimenticata: lo studioso Joseph Whitaker (1850-1936), che dedicò la sua vita alla ricerca sull’avifauna della Tunisia e della Sicilia, si interessò anche agli antichi resti di Mozia. Agli inizi del Novecento Whitaker scoprì che il bacino rettangolare a sud-ovest dell’isola era circondato da un esteso muro circolare e collegato al mare da un canale. Per lo studioso, lo specchio d’acqua artificiale aveva una stretta somiglianza con il porto navale di Cartagine, che gli antichi autori greci e romani chiamavano kothon.

Questo tipo di porto fenicio è un bacino rialzato collegato al mare da un canale. Nel caso di Cartagine, il kothon era accessibile attraverso il porto commerciale. Si trattava di una struttura circolare con un’isola artificiale al centro. Anche a Mozia si trovano un canale e un bacino, ma due aspetti mettono in dubbio la sua interpretazione come porto: in primo luogo, la struttura si trova su un’isola al centro di una laguna che, in quanto porto naturale, offriva già molto spazio: una struttura costruita sembra quasi superflua. D’altra parte, il bacino sembra troppo piccolo per ospitare singole navi o addirittura l’intera flotta di una città fenicia come Mozia. L’impianto rettangolare misura solo 37 per 52,5 metri.

Statue scoperte a Mozia, e conservate nel locale museo (© AGF)

Ulteriori scavi tra il 1955 e il 1970 portarono a un’interpretazione un po’ diversa. Gli archeologi britannici avevano scavato il bacino in alcuni punti. La loro conclusione: si sarebbe trattato di una sorta di bacino di carenaggio per la riparazione delle navi.

Che fosse un bacino portuale o un bacino di carenaggio, nella letteratura scientifica il bacino di Mozia è spesso citato come una delle poche strutture portuali fenicie ben conservate nel Mediterraneo. Per Nigro e il suo gruppo si trattava quindi di demolire una dottrina cementata con buoni argomenti.

Sorgenti d’acqua naturali alimentavano il bacino
Gli archeologi della La Sapienza di Roma scavano a Mozia da circa 60 anni. Quando, 20 anni fa, hanno iniziato a esaminare più da vicino il presunto porto, hanno svuotato il bacino ed esposto il suo contorno di blocchi di pietra. Hanno scoperto che sorgenti sotterranee alimentavano il bacino con acqua attraverso canali. Inoltre, i ricercatori hanno scoperto i resti di edifici nell’area che appartenevano a tre templi. A est del bacino si trova infatti un grande edificio per il dio del tempo e del cielo Baal e poco più a nord di questo si trovava un tempio di Astarte – l’importante dea fenicia è associata alla guerra, ma venerata anche come divinità dell’amore, simile alla dea greca Afrodite. Inoltre, a ovest del bacino si trovava un santuario con edifici che includevano una fossa sacrificale in mattoni a cielo aperto, riempita con le ossa degli animali sacrificali. Forse qui veniva offerto anche il sangue degli animali. La fossa era stata coperta da due grandi ancore di pietra. Per via delle installazioni di ingegneria idraulica, gli archeologi vicini a Nigro ipotizzano che i resti fossero una sorta di santuario dell’acqua.

Nell’area circolare sono stati scoperti anche i resti di numerosi edifici minori, stele, altari, fosse sacrificali e offerte votive. La funzione e la posizione reciproca di questi reperti, del tempio e del bacino hanno portato Nigro a ipotizzare che tutto appartenesse a un grande temenos, un’area sacra. Le attività cultuali potrebbero aver ruotato intorno al cielo, all’acqua e alle divinità associate, tipiche delle credenze fenicie. In particolare, l’elemento dell’acqua era probabilmente di primaria importanza: durante gli scavi è emerso che all’epoca dei fenici – dall’VIII al V secolo a.C. – il bacino non era stato mai collegato alla laguna. Solo dopo la distruzione di Mozia da parte di Dionisio I fu realizzato un canale fino alla riva del mare. Più tardi, in epoca romana, vi si allevavano i pesci.

Un tempio allineato con il cielo stellato
Molti secoli prima, i fenici avevano probabilmente svolto rituali all’interno e nei dintorni del bacino con lo scopo di compiacere gli dei e chiedere viaggi sicuri per mare. Nigro sostiene questa tesi facendo riferimento agli edifici e al loro orientamento: l’asse longitudinale del tempio di Baal punta all’incirca verso est-sud-est, dove sorge la costellazione di Orione al solstizio d’inverno. I fenici identificavano infatti Orione con il dio Baal. Inoltre, un ritrovamento ha indirettamente confermato la tesi di Nigro: nel contesto del tempio di Baal, gli archeologi si sono imbattuti in un ago di bronzo che apparteneva a un antico dispositivo di navigazione.

L’ingresso principale del tempio di Baal era rivolto a sud-sud-ovest, così come il tempio di Astarte. Il pianeta Venere, a cui la dea Astarte era equiparata, appare su questo asse nel cielo notturno estivo. All’interno del tempio, in una nicchia sul lato nord, si trovava probabilmente un’immagine della dea; nel prolungamento della nicchia si trova il monte Eryx, nella Sicilia occidentale. In epoca fenicia esisteva, con lo stesso nome, un insediamento degli elimi, parte della popolazione pre-greca della Sicilia che aveva anch’essa costruito un tempio ad Astarte, o Afrodite o Venere, che secondo Cicerone era noto per la ricchezza e per la prostituzione nel tempio.

Anche gli equinozi erano segnati da stele e nicchie nel temenos. Per essere più precisi, in questi momenti sorgevano alcune stelle nei punti segnati, come Sirio nel cielo meridionale all’equinozio d’autunno. Ultimo ma non meno importante: secondo Nigro il santuario dell’acqua, che si trova a ovest, verso il tramonto, è legato alle idee sul mondo sotterraneo. Lo indica la fossa sacrificale che scende nel terreno.

Una statua di Baal troneggiava al centro della piscina
Durante gli scavi, i ricercatori hanno documentato una serie di blocchi sporgenti sul bordo settentrionale del bacino. In questo punto, i visitatori del santuario potevano attingere acqua o fare abluzioni rituali. In ogni caso, qui era facile raggiungere l’acqua, che non era molto profonda: appena un metro e mezzo. Le navi non potevano certo navigare nel bacino, il che contraddice l’interpretazione come porto o bacino di carenaggio.

Le indagini geofisiche del bacino hanno poi dimostrato che un tempo al centro dello specchio d’acqua c’era un podio. Nigro e il suo gruppo lo ritengono la base per una statua, conoscendo un insieme di blocchi simile proveniente da un santuario fenicio in Siria. Anche i ritrovamenti di Mozia forniscono indizi concreti: una base con i resti del piede di una statua è stata trovata non lontano dal bacino. Nigro assegna questo frammento a un altro frammento: il busto di una statua di Baal, che fu estratto dalla laguna di Marsala nel 1933 e che ora si trova al Museo archeologico di Palermo. È possibile che l’immagine, che un tempo torreggiava con i suoi 2,4 metri, si trovasse al centro dello specchio d’acqua artificiale. Nel 2019, gli archeologi hanno collocato un calco della statua in quel punto per riprodurre l’aspetto antico.

Ci sono quindi molti elementi che fanno pensare che il complesso di piscine e templi a sud-ovest di Mozia costituisse un’area sacra. Di notte, quando la superficie dell’acqua della piscina rimaneva liscia e limpida, i pianeti e le costellazioni vi si riflettevano. Strutture e stele nel recinto del santuario facevano riferimento ad alcune costellazioni stellari e alle loro posizioni intorno ai solstizi o agli equinozi. Nigro è quindi convinto “che il temenos circolare e il bacino sacro costituissero un grande osservatorio astronomico”.

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