Aumentata la microsismicità sul Monte Bianco
Per lo più non percettibili in superficie, gli eventi sismici di piccola scala sono in aumento a causa del ritiro dei ghiacciai, della fusione del permafrost montano, e dunque del riscaldamento globale
di Jacopo Pasotti
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ll massiccio del Monte Bianco, con ben 11 vette che superano i 4000 metri di altitudine condivise tra Italia, Francia e Svizzera, trema. La montagna è percorsa da un sistema di faglie che generano microsismi, per lo più impercettibili in superficie, ma che sono in aumento a causa del ritiro dei ghiacciai, della fusione del permafrost montano, e dunque del riscaldamento globale.
Pubblicata sulla rivista “Earth and Planetary Science Letters”, una ricerca effettuata da scienziati del Politecnico di Zurigo documenta il forte aumento della microsismicità stagionale nelle Grand Jorasses, un gruppo di cime del massiccio, a partire dal 2015, in concomitanza con le ondate di caldo estremo e l’accelerazione della fusione dei ghiacciai.
Utilizzando oltre 16 anni di dati sismici i ricercatori elvetici hanno osservato ben 13.000 eventi. L’attività sismica si concentra lungo una zona di faglia che interseca il traforo del Monte Bianco. La zona è ben nota e per la sua fragilità fu una sfida ingegneristica durante gli scavi del tunnel.
Le faglie sono legate alla storia del sollevamento delle Alpi e alla più estesa faglia che percorre il Vallese svizzero, nota per avere una discreta attività sismica. Si tratta di eventi che in superficie vengono percepiti solo raramente. I più forti di questi si sono però verificati dopo il 2015 e comprendono sei eventi più importanti, di magnitudo compresa tra 2 e 3, avvenuti nel febbraio e marzo 2019.
Ad attrarre l’attenzione degli esperti è stato l’aumento degli eventi, che si nota a partire dal 2015 e che, secondo il gruppo zurighese è una delle prime osservazioni del fatto che la fusione dei ghiacciai e del permafrost provocata dal clima sempre più caldo può aumentare direttamente il rischio sismico nelle regioni alpine. Il motore di questo fenomeno sarebbe nell’acqua di fusione dei ghiacciai d’alta quota che aumenta e che si genera per un periodo più lungo rispetto a decenni fa.

L’acqua di fusione si infiltra attraverso una infinità di fratture fino nelle zone profonde della faglia, alterando le condizioni di stress e innescando il movimento della faglia e da qui i microterremoti. Lo studio avverte che durante i periodi di massima fusione il rischio sismico locale può aumentare fino a quattro ordini di grandezza rispetto ai livelli precedenti al 2015.
I ricercatori collegano poi la sismicità indotta dai cambiamenti climatici ad altri rischi naturali come frane e cadute di massi. Pur concentrandosi sui terremoti innescati dall’infiltrazione di acqua di fusione, lo studio evidenzia lo stretto rapporto tra il ritiro dei ghiacciai e del permafrost, indotto dall’aumento delle temperature, e la destabilizzazione dei pendii rocciosi.
Il gruppo elvetico è andato dunque oltre e ha cercato di inquadrare il proprio lavoro in un contesto di sicurezza e prevenzione dei rischi naturali. Negli ultimi anni c’è una crescente preoccupazione anche per chi pratica l’alpinismo, ed il massiccio del Monte Bianco è stato spesso teatro di crolli di grandi proporzioni, talvolta con diverse vittime. Le intense ondate di calore degli ultimi anni hanno causato un significativo degrado del permafrost nel massiccio del Monte Bianco e non solo, provocando numerose cadute di massi anche in zone abbastanza frequentate.

“Il degrado del permafrost è una delle minacce più gravi per le Alpi. Nei giorni passati lo zero termico ha superato i 5000 metri e si registrano temperature elevate anche in alta quota, come i 6,5 °C a Capanna Margherita (4554 metri sul livello del mare). Le rocce esposte al Sole possono raggiungere temperature interne di 25-30 °C, rendendo impossibile la conservazione del ghiaccio. Durante la notte, l’acqua può formare nuovamente ghiaccio, ma ciò avviene con un aumento di volume del nove per cento che provoca forti pressioni interne che destabilizzano le rocce, favorendone il crollo. Il processo, pur semplificato, illustra bene gli effetti estivi del riscaldamento sulle montagne”, dice Guido Nigrelli, del Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio nazionale delle ricerche.

I ricercatori elvetici invitano a migliorare la valutazione del rischio sismico nelle aree alpine, dato che le temperature globali continuano ad aumentare. Commenta ancora Nigrelli: “È necessario molto lavoro, soprattutto per creare aree attrezzate in alta quota nei luoghi soggetti a frane. In questi siti servono serie di dati prolungate. Senza dati reali e di lungo periodo acquisiti sul campo, non si possono ottenere risposte scientificamente solide”.
È però sempre più chiaro che gli impatti complessi e a cascata del cambiamento climatico si estendono ben sotto la superficie terrestre, e fino nel cuore dei massicci montuosi.