26 maggio 1798, un terremoto di Mw 4.7 colpisce Siena danneggiando gravemente il centro storico
Danni calcolati intorno al 7° grado della Scala Mercalli, con edifici parzialmente lesionati come il Duomo, il Palazzo Pubblico, la Dogana (Rocca Salimbeni) e il vicino palazzo Tantucci, la basilica di San Domenico
“[…] Ieri cadde al Bruco la casa del Mariottini, ed in quest’ultima vi erano stati gli famosi ingegnieri fiorentini […] quali avevano giudicato per ora non esser [in]pericolo; non erano sortiti dalla contrada del Bruco che la casa era caduta, onde: sono venuti a pappare, i fiorentini.”
Così scriveva, il 12 giugno 1798 (compiaciutissimo di poter confermare che da Firenze non c’è da aspettarsi nulla di buono…) Anton Francesco Bandini, il diarista che ci ha lasciato una minuziosissima cronaca giornaliera dei fatti senesi nel periodo 1786-1838. La ragion per cui gli “ingegnieri fiorentini” andavano perlustrando in quei giorni i rioni della città di Siena era il terremoto avvenuto due settimane prima, sabato 26 maggio 1798, vigilia di Pentecoste, poco dopo l’una del pomeriggio.

Il territorio della Contrada del Bruco (detto “Ovile” nel rapporto governativo citato più avanti nel testo, per la prossimità della omonima Porta cittadina), con le sue casette in ripido pendio fu tra le zone popolari più danneggiate dal terremoto senese del maggio 1798.
In base alle conoscenze attuali, Siena nell’ultimo millennio ha risentito effetti sismici di intensità massima pari al grado 7 della scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS) dovuti a terremoti di origine locale o regionale. Se si può parlare di terremoti tipici di una località, l’analisi della storia sismica di Siena indica che gli eventi che in passato sono stati più significativi per la città sono di due tipi:
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veri e propri sciami sismici, formati da numerose scosse di modesta energia (senza un evento che possa definirsi “principale”, cioè riconoscibilmente più forte degli altri) che possono susseguirsi per settimane o anche mesi, causando forte preoccupazione nella popolazione (fino all’abbandono delle case) e che possono finire per causare qualche danno dovuto però più a un effetto di cumulo delle sollecitazioni che all’effettiva entità delle singole scosse. Un classico esempio è il terremoto del 1467, raffigurato in una notissima “tavoletta di Biccherna” (nome che si dava alle copertine dei registri dell’omonima magistratura finanziaria del Comune di Siena) che mostra la città abbandonata dagli abitanti ritiratisi a vivere in tende e capanne fuori dalle mura;
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sequenze composte da un evento principale di maggiore energia seguito da poche scosse molto più deboli e distribuite in un periodo di tempo limitato (uno o pochi giorni). Gli effetti sismici massimi osservati a Siena (7° grado MCS) sono dovuti a terremoti di questo secondo tipo, il più recente dei quali è proprio quello del 26 maggio 1798.
Un rapporto sugli effetti del terremoto, inviato il 1 giugno 1798 dal governatore di Siena al Segretario di Stato del granduca di Toscana, riassume la situazione così:
“pochissimi sono stati i morti, molti i feriti […] Per quanto le Fabbriche non presentino all’esterno molti danni, alla riserva di poche, hanno nell’interno infinitamente sofferto, maggiormente per altro nell’alto che nel basso, forse proprio per la loro evidente elevazione, per la cattiva costruzione, e per l’aggregazione di diverse vecchie Case per formarne una. Le Volte sono quelle che hanno sofferto il più e molte ne sono rovinate. I Rioni che hanno sofferto di più sono quelli di Fontebranda, e di Ovile: in questi le Case sono in buona parte inabitabili, e di quando in quando ne cadono alcune delle abitate da povera gente. Nel Rione di S. Marco vi sono parecchi danni. Il Terremoto ha cagionato gravi danni anche alla Campagna in distanza di qualche miglio, non però da tutte le parti”.
Fuori città i danni interessarono una limitata area compresa tra Siena e Castelnuovo Berardenga e caratterizzata – allora come oggi – da insediamenti sparsi, per lo più di ridottissime dimensioni. I rapporti inviati al governatore di Siena da Castelnuovo Berardenga assicuravano che la scossa aveva avuto il solo effetto “di gettar in terra qualche cappa di cammino e di aprire gli archi delle finestre”. Nei dintorni di Castelnuovo, a Sestano e Arceno ci fu la “caduta di soli camini”, mentre a San Giovanni a Cerreto e Valle Picciola singoli edifici, una villa padronale e la casa del parroco subirono “del danno notabile”.
Distribuzione degli effetti del terremoto del 26 maggio 1798 secondo Castelli et al. (1996) [fonte: DBMI11].
Tra gli edifici monumentali del capoluogo furono particolarmente colpiti il Duomo (che rimase parzialmente inagibile per tre anni), il Palazzo Pubblico, la Dogana (Rocca Salimbeni) e il vicino palazzo Tantucci, la basilica di San Domenico, con le capriate del tetto pericolanti e il campanile tanto lesionato che dovette essere abbassato di due piani. Ma, chi più chi meno, quasi tutti i palazzi, chiese e conventi della città, come pure le case di comune abitazione, subirono danni più o meno gravi (lesioni, crolli di volte e camini, dissesti di facciate e pilastri). I restauri sarebbero andati avanti per alcuni anni e col passare del tempo i traumi subiti dal tessuto urbano si riassorbirono e oggi è diventato difficile percepirne le tracce se non interpretando con occhio esperto la presenza di vecchie catene di ferro, speroni di rinforzo, tamponature di logge e simili. Qua e là, ma non sempre facili da scoprire sui vecchi muri, iscrizioni o immagini ricordano “l’orribile scossa della vigilia di Pentecoste”(https://lapicidata.wordpress.com/2016/05/26/speciale-26-maggio-1798/).
Il terremoto segnò una battuta d’arresto nella routine quotidiana dei senesi: per diversi giorni quasi tutta la popolazione rimase all’aperto in piazze, prati e giardini, dormendo in tende improvvisate o in carrozza; “nobili e possidenti” si trasferirono per lo più in villa. Furono sospese le riunioni del Comune e della Deputazione del Monte dei Paschi, interrotte le attività artigianali. Vietato – nei primi giorni – suonare le campane e “correre per la città con calessi, carrozze, carri, barrocci e cavalli” per timore di causare il crollo dei molti edifici pericolanti e provvisoriamente puntellati.

Partenza di S.S. Pio VI dal convento dei P.P. Agostiniani di Siena: passando ad abitare per i seguiti tremoti […] il 26 maggio 1798, incisione di Girolamo Carattoni da un disegno originale di G. Beys (Roma, 1801).