L’Italia è sempre più fragile e insicura anche a causa dei cambiamenti climatici

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L’Italia è sempre più fragile e insicura anche a causa dei cambiamenti climatici

7,5 milioni di cittadini vivono o lavorano in aree a rischio frane o alluvioni. Ora il Governo approvi un piano nazionale di adattamento al clima e una normativa per fermare il consumo di suolo. Legambiente: «Il clima sta cambiando e la Penisola continua ad essere impreparata»
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Mentre infuria la polemica politica sulle vittime e sui disastri provocati in tutta Italia dell’ultima ondata di maltempo, Legambiente prova a fare il punto di una situazione che somiglia a una catastrofe diffusa e denuncia: «Dal Veneto alla Sicilia, dalla Liguria al Lazio, compresa l’isola di Ischia, sono tanti i territori colpiti in questi giorni e in queste ore dal maltempo con frane, esondazioni, trombe d’aria e tutto ciò che ne è conseguito. Da ultimo la strage di alberi nei boschi del Trentino, dell’Alto Adige, Veneto e Friuli e il maltempo che si è abbattuto sulla provincia di Palermo  dove si contano al momento dodici morti. Il clima sta cambiando, ormai è un dato di fatto, eppure l’Italia continua ad essere impreparata».

Il Cigno Verde ribadisce «l’urgenza di un piano nazionale di adattamento al clima e una normativa che fermi il consumo di suolo, insieme ad un’intensa attività di prevenzione. Le città non possono essere lasciate da sole a fronteggiare impatti di questa dimensione dovuti in primis ai cambiamenti climatici, che amplificano gli effetti di frane e alluvioni e che stanno causando danni al territorio e alle città mettendo in pericolo la vita e la salute dei cittadini».

Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, sottolinea: «In queste ore il primo pensiero va purtroppo alle vittime e ai dispersi e ribadiamo la piena disponibilità e supporto ai tanti soccorritori impegnati in queste ore sui territori colpiti. Le diverse emergenze scattate in questi giorni non possono, però, non richiamare ad una riflessione sul rischio idrogeologico e le conseguenze del cambiamento climatico sempre più evidenti sul nostro territorio, in cui questi fattori spesso sono stati ignorati o sottovalutati e la prevenzione stenta a partire. Nonostante siano state messe in campo nuove politiche per la riduzione del rischio sul territorio, con l’obiettivo di recuperare anni di ritardi negli interventi, purtroppo ancora oggi non se ne vedono i risultati. La dimensione dei problemi che vediamo nei territori legati alla fragilità idrogeologica del Paese, ad una pianificazione e ad una espansione urbanistica che spesso non ne tiene conto e a un clima che sta cambiando, è tale da obbligare a un cambio di strategia e di velocità degli interventi. Si deve passare da un approccio che segue emergenze e disastri a una lettura complessiva del territorio italiano attraverso un Piano nazionale di adattamento e a interventi coerenti e coordinati. Per questo chiediamo al Governo di approvare tale piano nazionale, a cui devono seguire piani su scala regionale e territoriale, strumenti trasversali di cui tener conto anche in tutte le altre pianificazioni, in modo da aiutare così anche i Comuni, che devono individuare rischi e interventi prioritari di prevenzione. Per mettere in campo tutto questo servono risorse adeguate e continuative. Per questo abbiamo proposto già a partire dalla prossima finanziaria di prevedere un fondo di almeno 200 milioni di euro all’anno, per l’erogazione di finanziamenti da destinare ai Piani Clima da parte dei Comuni, e a progetti di adattamento ai cambiamenti climatici, oltre le risorse necessarie per interventi di manutenzione, riqualificazione e riduzione del rischio, a partire dagli spazi pubblici e di allerta dei cittadini. Ma di tutto questo purtroppo nella nuova proposta di finanziaria non ve ne è traccia».

Legambiente ricorda che «Tra il 1944 ed il 2012 sono 61,5 i miliardi di euro spesi solo per i danni provocati dagli eventi estremi nel territorio italiano e l’Italia è tra i primi Paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto con circa 3.5 miliardi all’anno. Ancora oggi, nonostante tutto, continua imperterrita, soprattutto in ambiente urbano la sottrazione di suolo libero per processi di crescita edilizia. Anche a causa della mancanza di una normativa nazionale che intervenga in questo settore. Ma un altro dato è ancora più allarmante e va evidenziato soprattutto alla luce del dibattito sull’ennesimo condono edilizio contenuto nel decreto Genova in discussione in Parlamento in queste settimane. Il consumo di suolo e le nuove edificazioni continuano a riguardare anche le aree considerate a rischio idrogeologico, nonostante i vincoli esistenti. Il dossier Ecosistema rischio di Legambiente riporta come, nonostante nel 78% dei casi (1.145) le perimetrazioni definite dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) sono state integrate ai piani urbanistici, nel 9% delle amministrazioni si è continuato a costruire nelle aree a rischio anche nell’ultimo decennio. Dato che potrebbe essere anche maggiore se si pensa a quanto è stato costruito in maniera abusiva, spesso in aree a rischio, che oggi non risulta ma che potrebbe essere sanato se andasse in porto il decreto così come è uscito dalla Camera dei deputati, dal momento che si prevede di far procedere le richieste pendenti di condono senza tener conto dei vincoli idrogeologici, sismici e paesaggistici vigenti attualmente nel nostro Paese. E intanto a Casamicciola, a causa del maltempo, nei giorni scorsi è crollato il muraglione di contenimento di un albergo che sorge a poche decine di metri dalla zona rossa del sisma».

Dunque il consumo di suolo continua ad essere un problema irrisolto. Per questo per Legambiente «E’ fondamentale che si approvi anche una legge nazionale per fermare gli attacchi e le speculazioni a danno dei territori. Stando all’ultima fotografia fornita da Ispra e riportata in Ecosistema Urbano 2018 il territorio urbanizzato, che negli anni ‘50 del secolo scorso pesava per il 2,7 per cento delle superfici, nel 2017 dilaga su oltre 2,3 milioni di ettari, il 7,7 per cento del territorio nazionale. Negli anni dal dopoguerra ad oggi si è impermeabilizzata una superficie doppia di quella cumulata nei duemila anni precedenti. Una gestione dissennata che continua ad esporre al rischio milioni di persone: 7.275 comuni (91% del totale) sono a rischio per frane e/o alluvioni (Ispra 2018) e circa 7,5 milioni di abitanti che vivono o lavorano in aree a rischio frane o alluvioni. Su scala nazionale addirittura il 13% delle famiglie italiane vive in aree a rischio idrogeologico».

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